Il futuro non è più quello di una volta
Il navigare senza coste di Alessandra Baldoni
Veruska Picchiarelli
Nel lavoro di Alessandra Baldoni un’immagine non esiste per se stessa. Trova la sua completezza solo allacciandosi ad altre. O fondendosi alle parole. Solo così la complessità di un pensiero si risolve a concedersi alla sua espressione. Allo stesso modo, nella sua arte la fotografia non è frutto solo del presente catturato dall’obiettivo. I piani temporali si fondono, tessendo trame inattese, danzando fra manifestazioni raggelate dell’Ora e passati che resistono grazie all’atto creativo di uomini anche loro artisti, molti secoli fa. Questo sincretismo è rivelato bene dal titolo delsuo nuovo progetto, preso in prestito da una neralirica di Mark Strand (The Way It Is). Il futuro non è più quello di una volta ci proietta in un tempo spezzato, che ci ha accomunato tuttinei giorni sospesi della pandemia. Giorni nei quali il “Corpo fermo, corpo scomparso. (…) Corpo orfano, doloroso corpo”, come scrive Alessandra in uno dei testi più intensi a corredo delle immagini, ci è stato sottratto e presentato come nemico. Giorni nei quali le lontananze si sono fatte incolmabili, la paura abituale. Giorni nei quali qualcosa si è interrotto, a volte per non ricominciare più. L’effetto prodotto su un’anima senza pellecome la sua da una tempesta così violenta e improvvisa di negazioni ci viene raccontato con limpida crudezza in questo “diario di bordo in una navigazione disorientata”. Atlante di volti che scompaiono, velati, caduti. Di espressioni prive ormai della loro etimologica funzione, senza altri volti a raccoglierle. Di occhi rimasti soli. Di crepe e fessure che troncano il fluire della materia. Di posti vuoti, dove della festa si sono persi perfino i colori. Dove la solitudine la urlanoanche gli oggetti inanimati. Sotto un’epidermide livida, conle tinte più brillanti che si spengono dietro una patina lattiginosa, si coglie però in tanta assenza un moto di ribellione. La reazione di un’intelligenza lucida che contempla fra le varie possibilità del caso anche la speranza, data se non altro dall’opzione della dignità.
Il futuro non è più quello di una volta, nella coerenza con i lavori precedenti di Alessandra Baldoni, ha un’identità tutta sua e rende riconoscibili i luoghi che lei ama, dei quali svela le fragilità con uno sguardo che resta però indulgente, pieno di pietà. Fra tutti il lago, che per chi lo vive ha il richiamo del liquido amniotico. Io ci ho trovato tessere della mia infanzia, nel dragone sepolto che sputa fuori il vuoto dagli occhi, dalle narici, dalle fauci spalancate. E del mio oggi, nei frammenti di visi dipinti che popolano le mie giornate. Nella trasfigurazione dell’arte, tuttavia, ognuno si sente alieno in questi mondi, che alzano muri di distanza.
Ernst Gombrich riconosceva l’esistenza di un senso dell’ordine innato all’essere umano, grazie al quale nei posti più distanti e fra le più remote epoche si sono potuti produrre nell’atto creativo motivi simili e ricorrenti. Una struttura sottesa alla visione e al pensiero, dunque, intesa quasi come propria al patrimonio genetico comune, che ci fa percepire e riprodurre nell’immaginazione alcune forme, alcuni accostamenti. Sembrano nascere così le associazioni di Alessandra, che con libertà totale viaggia tra epoche e generi, storie e miti, filtrando con la più personale delle fantasie le suggestionidellequali la sua mente si nutre. Stimoli che vengono dalla parte più sommersadel suo lavoro, dalla lettura che è sorgente primaria di crescita interiore, dalla contemplazione attiva di sé e dell’altro. Questa vocazione introspettiva va di pari passo con una cura quasi artigianale dei media tecnici, nella consapevolezza della loro fondamentale importanza nell’iterdi produzione artistica nel suo insieme. L’uso del digitale con l’approccio di chi impara il mestiere con l’analogico; la scelta di scattare quando necessario e quanto basta, dedicando attenzione al singolo shote diffidando dalle seduzioni della ripetibilità senza fine; la postproduzione limitata ad aggiustamenti dettati dai supporti di stampa. La scelta del mezzo figurativo più adeguatosi specchia nel lavoro di cesello sulle parole che lo accompagnano,in un processo creativo di rara sensibilità del quale siamo grati ad Alessandra, perché ci ricorda della necessità di ascoltarci.