Pigre divinità e pigra sorte
Durante i mesi del 2022 nei quali la Galleria nazionale dell’Umbria ha chiuso le proprie sale, svuotandole delle opere e mettendole a nudo perché si predisponessero a una radicale rivisitazione estetica e funzionale, il fervore del cantiere ha rapidamente fatto precipitare lo spazio nel caos più completo, nel quale l’intenzione e la casualità hanno avuto modo di intrecciarsi, contraddirsi, riverberarsi l’una sull’altra. Lungi dal volervi mettere ordine, Alessandra Baldoni ne ha estrapolato frammenti, isolato dettagli, instaurato rapporti con altrettante resezioni delle opere d’arte che costituiscono il percorso espositivo del museo.Banditele facili assonanze, trascurati i riflessi tanto superficiali quanto privi di significato, l’occhio dell’artistaha esaltato del caos la forza generatrice di forme, il costituirsi come materia in divenire, il disporsi come prolettica formulazione di immagini.
Tanto i pieni quanto i vuoti indirizzano il processo creativo e i suoi esiti. Le lacune sulle superfici dipinte costruiscono forme, al pari delle impronte lasciate sulle pareti dalla rimozione delle opere, né può sottrarsi dall’offrire il proprio contributo il groviglio di cavi, il panneggio di un foglio di velina, lo svolgersi del rotolo di pluriball.
La trasformazione del museo, adesso che questo volume si dà alle stampe, è da alcuni mesi compiuta e il succedersi delle pagine sembrerebbe volerne trattenere memoria, magari soffermandosi su aspetti oepisodi minori, se non addirittura marginali.Al contrario, se si avrà la giusta predisposizione per allineare il nostro occhio a quello di Alessandra Baldoni,dalle immagini non potrà che emergere con forza l’energia che ha prodotto e costantemente alimentato tale metamorfosi, il cui carburante si estrae ogni giorno dal giacimento del patrimonio culturale che la Galleria custodisce, studia e racconta.
Marco Pierini
Direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria
_______________________________________________________
Il cantiere è un cronotopo che esiste in potenza sia nel prima sia nel dopo: eppure in nessuno di essi è.
È, invero, nel mero interstizio dell’azione umana, in quel fare figlio del caos e della materialità dell’atto che genera un cortocircuito tra l’ideale di un progetto su carta e la levigatezza del risultato compiuto.
Usando un ossimoro si potrebbe dire che il cantiere è un effimero, una creatura di un solo giorno: perché ossimoro?
Perché da quell’effimero a pensarci dipende il futuro.
È strano immaginare che dalla ferita di un disordine e dalla maceria di un passato riletto e ricreato possa sgorgare sangue di sacralità.
È sacra ogni cosa che attiene l’arte.
Quella di Alessandra Baldoni, narrata magistralmente dall’osmosi parola e immagine, ha una storia che viene da lontano, e, come in tutto lo straordinario, si concatena unendo l’umile e il sublime.
L’etimologia della parola cantiere rimanda al latino canthērius «cavallo castrato», e andando ancora più indietro a κανϑήλιος «asino da soma»: gli ‘strumenti’ silenziosi, spesso dimenticati nelle celebrazioni del finale, ma senza i quali non si erigerebbero cattedrali e monumenti del sacro. Mutatis mutandis, il cantherius allarga la sua sfera di significato diventando accezione per la trave di sostegno: ancora una volta qualcosa di essenziale, ma che non si vede, nascosto, celato.
Il nodo centrale dell’arte di Alessandra è la ricerca spasmodica e, a tratti delirante, di un umile da sublimare: qualcosa che non sia nei proclami ufficiali, che non sia il simbolo da incidere su una medaglia da porsi al petto.
Bensì un essenziale in fieri che equivale alla fenomenologia di un qualcosa di circoscritto in un determinato momento che non sarà più, che verrà seppellito nel sostrato della perfezione, riemergendo solo come memoria, mai come gesto.
Qualcosa di carnale, fatto dal sudore e dal sangue dell’uomo, di colui che lavora, sublimato nella perfezione del compiuto.
Scrive Annie Ernaux, Premio Nobel per la Letteratura 2022: ho detto che ho imparato bene, mai che ho lavorato bene. Lavorare era solo il gesto con le mani.
Alessandra Baldoni, con questa opera, ci insegna che l’effimero, la creatura di un sol giorno, quando si fa materia carnale, trasudante sudore e lacrime, diventa la pietra angolare per conservare e tramandare il passato, sublimare e sacralizzare il futuro, facendo del presente la sperimentazione del perfetto.
Ilaria Batassa
Direttrice della Villa del Colle del Cardinale