Senza

Senza geografia (Non una tregua- un dono / per questa terra folgorata)

Senza geografia (Non una tregua- un dono / per questa terra folgorata)

Senza volto (Di colpo diventiamo ciò che aveva tremato)

Senza volto (Di colpo diventiamo ciò che aveva tremato)

Senza parola (La parola stretta nel buio della gola come una bestia irrigidita)

Senza parola (La parola stretta nel buio della gola come una bestia irrigidita)

Senza radici (Dal buio al buio / per chi resta / per chi ruota)

Senza radici (Dal buio al buio / per chi resta / per chi ruota)

Senza destino (Mi spingo oltre il dolore/ dove nessuno sospetta che si soffra)

Senza destino (Mi spingo oltre il dolore/ dove nessuno sospetta che si soffra)

Senza cammino (Ancora un recinto con spine confuse ad altre spine / spine di terra che bruciano i talloni)

Senza cammino (Ancora un recinto con spine confuse ad altre spine / spine di terra che bruciano i talloni)

Senza conoscenza (Tutto si perde / tutto viene scagliato lontano)

Senza conoscenza (Tutto si perde / tutto viene scagliato lontano)

Senza amore (Per te, che il mio amore ha mancato mitemente / -con orrore)

Senza amore (Per te, che il mio amore ha mancato mitemente / -con orrore)

Senza nutrimento ( …e la carta dei giornali con le foto dei morti sulle uova)

Senza nutrimento ( …e la carta dei giornali con le foto dei morti sulle uova)

“Occorrerà capire cosa insegni la pena / che basta un gesto a scansare / il brivido che ogni giorno posiamo di lato / non sapendo se annunci / o stringa il respiro di altre vite”

                                                                                                                                                            Antonella Anedda

La giovane fotografa umbra Alessandra Baldoni è autrice e regista di set quasi cinematografici in cui dispiega elementi simbolici, non di rado di risonanza letteraria, in contesti onirici.  Poetessa, attiva anche sul versante comportamentale,  Baldoni è del resto sensibile alla sintattica connessione dei singoli elementi in un tessuto narrativo, intrinseco alle singole opere nonché elaborato nel respiro più ampio della serie, e perfettamente consentaneo alle ultime proposizioni internazionali. Lasciandosi orientare dalla violenza del luogo, espone un  dizionario del male, inteso come assenza, con lemmi nominati in figura a comporre una mise en scène di sapore allegorico. Pur facendogli amaramente il verso, la sua confezione impeccabile flirta, per la sontuosità tecnica, con la fotografia di moda,  esplorando con ben altra empatia la sensibilità femminile.

Bianca Pedace

“Senza” significa assenza come incapacità di significato. Riflettere sul senso del male è prima di tutto cercare di definirlo, di nominarlo e metterlo di fronte a se stessi nel tentativo di poterlo assumere in qualche categoria esistenziale. Rappresentare il male visivamente, attraverso il mio mezzo che è quello fotografico, è stato cercare di raccontarlo per simboli, di essenzializzarlo senza però banalizzarlo, senza staccarlo dalla sua materia scura e dolorosa, senza dimenticare la consistenza di pece delle sue ombre riflesse in una terra insanguinata. Dire di un male che è soggettivo ed universale, che racconti il dolore intimo e domestico così come quello esposto e urlato che passa per gli schermi della nostra tv. E dirlo anche da qui, da questa parte di mondo che tutto sommato non sa della fame e non sa della guerra, da questa parte della storia che, pur assediata dal tragico, vive “notti di pace occidentale”. Male è mancanza di possibilità, privazione. Male è non poter scegliere, non avere via di scampo. Per questo ho fatto un lavoro sulla sottrazione. Ho scelto immagini “semplici”, ho lavorato in un certo senso sul luogo comune inteso come ciò che diventa immediatamente riconoscibile ed identificabile. Ed ecco come nasce l’opera, una specie di polittico, che racconta ciò che non c’è, ciò che non è dato per nascita o destino o che svanisce irrimediabilmente.
“Senza volto” è questo diventare fantasmi, questo perdere i propri tratti, essere impermanenti e ancora più fragili della foglia che dopo breve tempo trema toccata dal vento e cade. Ma “Senza volto” è anche ricordarsi di chi muore senza nome, di chi non sappiamo, di chi è solo ossa in fosse comuni. “Senza geografia” è una terra senza punti cardinali e senza linee di appartenenza, è il non avere un posto così come il posare i piedi su una carta del mondo che la guerra sposta e ferisce, che il conflitto con ferocia ridisegna. “Senza radici” è perdere la propria provenienza, non avere un passato in cui riconoscersi, una radice da proteggere e coltivare, una casa in cui rientrare per trovare riparo; “Senza cammino” è il limite estremo che impedisce i passi, impedisce la salvezza perché si è intrappolati nel filo spinato degli eventi che stringono e bucano la carne, che diventano prigionia, impossibilità di un riscatto. “Senza destino”, non a caso l’immagine centrale dell’opera, è grembo di madre con accanto una falce, è nascita con presagio di morte, è la violenza estrema, quella che pronuncia la condanna prima che sia data la stessa possibilità di parola. ”Senza conoscenza” e “Senza parola” raccontano di quando si è costretti al silenzio, di quanto tace e viene dimenticato, di tutto quello che non è dato sapere e che rende ancora più deboli perché privi di risposte, perché soli. “Senza amore” è l’immagine di un sotterramento, di una mancanza che fin nel midollo duole, che si prende il cuore, che chiude e dispera. “Senza nutrimento”, uova incartate con i nomi dei morti sui giornali, un gesto banale, metafora, mille volte fatto, dove l’orrore avvolge il cibo che di quell’inchiostro ha sapore e livore: cibo che non nutre, cibo amaro e scondito, cibo che ad altri è tolto. Ho scelto la poesia come traccia, come filo per pensare questo lavoro perché la parola poetica cerca di dire le cose senza consumarle o offenderle, perché le sfiora e le racconta attraverso immagini minime, piccole ma insieme potenti.
Ho trovato nel libro di Antonella Anedda “Notti di pace occidentale ”la chiave che cercavo, il segno da seguire: riflette e nomina il dolore, il male, leggendone i contrasti e le contraddizioni nel reale, in questa trama d’esistenza che anche quando sembra salda e certa si allenta e si sfarina.
Non ho trovato risposta al senso del male perché ogni risposta o attribuzione di significato sarebbe una legittimazione, sarebbe comprenderlo mentre il male resta scandalo, inaccettabile ferita. L’unica cosa che resta è narrare, è non perdere la voce. Salvare, per quanto si può, dall’oblio e dalla dimenticanza, strappare territori a questo incendio che annerisce la terra. Resta la fedeltà alla parola, a questo suo raccontare, allo scrivere lettere del soldato e del condannato, del profugo e dell’esiliato. Nominare ciò che accade, dire di quello che andrebbe altrimenti perso nell’opacità indistinta delle esistenze senza volto e senza nome. “Senza”è un lavoro che somiglia ad una terapia, al bisogno di vedere per intero le lacerazioni, i fossati scavati dal non avere possibilità. Non credo che nulla possa rispondere del dolore e della morte, di questo essere condannati a morte. Non c’è guerra preventiva o fuoco amico, non c’è assassinio che abbia una ragione. Non c’è falce legittimata, né perdita giustificata. Il male resta uno scandalo. Io ho solo tentato di raccontare da dove parte il male, di lavorare con simboli e metafore convinta che se un senso sia possibile, sia appunto in questo guardare e dire, in questo “non distrarsi”, nel capirne le forme ed i travestimenti cercando antidoti. Ed il mio rimedio, se così si può dire, è l’arte. Che mi costringe ad attraversare le spine, che mi permette di toccare lo sguardo degli altri e portarli ad una riflessione.

Maddalena Rinaldi

*tutti i versi citati sono tratti da “Notte di pace occidentale” di Antonella Anedda.