“PER VOCE CREATIVA” è un ciclo di interviste riservate – e dedicate – alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione, Giovanna Lacedra incontra Alessandra Baldoni (Perugia, 1976) :
E’ nata il 6 maggio 1976 sotto il segno del toro, ed ha presto intrapreso uno dei viaggi più magici e faticosi che si possano scegliere: quello dentro di se stessa. Lo ha fatto attraverso la penna e l’obiettivo fotografico; vecchi album di famiglia e indimenticabili pagine di letteratura al femminile.
Fotografia e poesia sono diventate il suo linguaggio. La sonda con cui attraversa l’universo e scaglia l’indicibile, tra luci silenti e ombre di pece. La bellezza, però, vince sempre. La bellezza è nella vita che trionfa – che cola dalla piaga – oltre le ombre. Anche quando “germoglia dalla ferita”.
La sua ricerca sta tutta nel saper perdere e ritrovare le tracce dell’inafferrabile: quello di un’immagine senza tempo o di una poesia precipitata sul foglio, dall’eternità.
Alessandra Baldoni ha una semplice urgenza: raccontare lo splendore riassumendolo in un’immagine. A suggerirle la visione sono sovente versi di autrici come Amelia Rosselli, Antonia Pozzi,Virginia Woolf, Ingeborg Bachmann… oppure i suoi. Perchè Alessandra, prima di tutto scrive.
Lo scatto non è che l’arrivo. È l’approdo di un viaggio minuziosamente raccontato in appunti, annotazioni, progetti. E i luoghi che scandaglia, le stanze che attraversa, i boschi che setaccia e i laghi che capovolge, sono tutti sulla mappa della sua anima.
“Ho il mio mondo dentro
e la verità è uno spiraglio
per ricongiungere cielo e terra
ma deve passare di quà
dentro il mio ventre
dove sopito giace
il suono del tuo nome “
[Alessandra Baldoni | MA.Rea | 1999]
Laureata in filosofia, sente, legge, fotografa e ama tra Roma e le sue amate sponde del lago Trasimeno.
Questa è la Voce Creativa di Alessandra, per voi:
G.: Chi sei tu? La donna, l’animale, l’artista…
A.: Sono l’animale che cerca una tana per la notte, che respira bosco dalla narici – sono la fedeltà immediata alla terra. Sono la donna che ama, che siede sulle rovine e pensa come raccontare lo splendore. Sono l’artista che naviga a vista nel destino ma con il nord inciso sulla pelle per non perdere mai le mie stelle anche nel buio di pece delle difficoltà.
A.: Sin da bambina non ho avuto altro desiderio se non quello di essere un’artista. Non so neppure se posso parlare di scelta – almeno all’inizio. Era scritto nelle cavità delle ossa, viaggiava come messaggio luminoso nel mio sistema nervoso. La scelta è nella coerenza e la perseveranza, nell’andare avanti nonostante tutto. La scelta è sapere che la bellezza germoglia dalla ferita.
G.: Perché lo fai?
A.: Perché non potrei essere altrimenti né fare altro. Perché credo che l’arte sia strumento per la crescita, credo abbia il potere salvifico di mostrarci le cose in modo diverso. Perché l’arte si ferma e racconta ciò che perdiamo, ciò che lasciamo indietro… ci porta ad ascoltare le voci minori, a fare spazio, a correre il rischio di indagare realmente chi siamo. (Ma se proprio devo pensare a qualcosa d’altro … direi l’illusionista, perché amo vedere lo stupore negli occhi).
G.: Perché la fotografia?

Alessandra Baldoni | “Le mie parole sono Balocchi” dalla serie “C’era un volto” – stampa fotografica da negativo, dibond cm 50×60 – 2005
A.: Un po’per caso (mio padre che a otto anni mi regala la mia prima “compattina”, una Olympus e da lì non ho mai smesso di fare foto) e un po’per necessità personale. Ho sempre amato la fotografia, i vecchi album di famiglia, le immagini in bianco e nero di nonni e antenati di cui a me arrivava si e no solo il ricordo del nome. Da piccola stavo ore ad inventarmi storie su quei volti sbiaditi. La fotografia ferma solo un istante – uno solo – e non svela mai tutto.Intorno ad una foto si può immaginare, si può scrivere, supporre, indagare. E’quella crepa nella memoria, quello strappo nel tempo dalla cui fessura nasce la bellezza.
G.: Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?
A.: Credo sia quella di raccontare l’altra metà del cielo e della terra, l’orizzonte capovolto – al polo opposto. Credo sia quello di essere coerente e fedele alla propria sensibilità, di mostrarci con il suo sguardo altre possibilità, altre storie, altre verità.
G.: Quali sono le tematiche della tua ricerca e quanto c’è di autobiografico?
A.: In un certo senso, ogni mia opera è assolutamente biografica. Parlo di amore, memoria, sogno, perdita, letteratura. Non potrebbe essere diversamente. Devo “sentire” ciò che racconto con le mie opere, altrimenti tutto diventerebbe maniera, esercizio di stile. Tanto più è intimo il racconto, tanto più tocca corde universali e permette un riconoscimento. Parto sempre dalle mie stanze, da me, ma poi cerco il simbolo, cerco di rappresentare storie e accadimenti con metafore visive.
G.: Come nasce un tuo lavoro (step by step) ?
A.: Prima c’è il fuoco, il sentimento di qualcosa che attira i miei occhi: l’ispirazione può arrivare da qualsiasi direzione e innesca un cortocircuito in me. All’inizio, all’origine – c’è sempre la parola. Ogni mia immagine nasce e si solleva dalla scrittura. Scrittura di altri o parole mie che spesso entrano anche a far parte del lavoro. Diciamo che stendo sulle pagine del mio diario piccole sceneggiature per uno scatto. Lavoro per serie fotografiche quindi in primo luogo c’è lo studio, la ricerca, la lettura. Poi il diario raccoglie anche idee spunti ricerche. Preparo ogni cosa, scelgo volti, luoghi, abiti, accessori e oggetti per il mio set. Quando arrivo allo scatto ho tutto talmente inciso nella mente che paradossalmente è il momento più veloce. Arrivare a quello scatto, alla costruzione del set e della mise en scène può richiedere settimane intere. Il lavoro è pronto quando le immagini si specchiano nei titoli e nelle parole da cui sono partita e la serie è coerente nell’insieme.

Foto in copertina: Opera di Alessandra Baldoni | “C’è come un dolore nella stanza ed è superato in parte” dalla serie “Salva con nome” – 2013.
G.: Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono o ci sono state letture particolari?
A.: Le mie emozioni sono sempre appese al rigo della pagina. La letteratura è nutrimento, acqua di gestazione, placenta di carta che avvolge l’immagine. Sono cresciuta trae con i libri, e restano un amore incondizionato. Negli ultimi anni leggo soprattutto poesia e ho una grande passione per i racconti, perché richiedono esattezza e disciplina e non ammettono concessioni, né esitazioni. Sono i luoghi dove si sperimenta, dove le parole sono scardinate dall’abitudine che le consuma e tornano ad avere una potenza quasi esoterica. Ultimamente, una mia immagine ispirata ad Amelia Rosselli (“C’è come un dolore nella stanza ed è superato in parte”) ha avuto il privilegio di essere scelta come copertina della raccolta di racconti “E’di vetro quest’aria” della scrittrice e traduttrice Monica Pareschi.Ne sono molto fiera e credo che questa foto non avrebbe potuto sentirsi “più a casa”, al posto giusto, che sulla copertina di questo libro incredibile.
G.: Che musica ascolti quando hai le mani in pasta al tuo lavoro?
A.: Musica diversa secondo il progetto a cui sto lavorando. Molto jazz, musica classica, ma anche Tori amos, Joan as Police Woman, Mogwai, Cat Power, Antony and The Jonson…
G.: Scegli 3 delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.
A.: “Fino a te”, dalla serie “Le cose che vedi” 2008.

Alessandra Baldoni | “Fino a te” , dalla serie “Le cose che vedi” stampa fotografica a colori da negativo, dibond, cm 140×100 – 2008
C’è questo sentimento del perdersi, questo rischio tutto femminile del bosco. Capita spesso che le protagoniste delle mie foto siano di spalle, rivolte altrove. E’un invito a seguirle, in un certo senso a cercare il lupo insieme a loro, ad immaginarne lo sguardo intento a scoprire l’ignoto – o forse semplicemente l’inascoltato. Si trattiene il fiato – tra il timore e la meraviglia. C’è il rosso, colore che inseguo e mi insegue, e c’è il filo che cuce il destino e ricama le possibilità. C’è il mistero del chi o che cosa ci sia dall’altra parte del filo a tenerne il capo perché ogni bosco ha dietro di sé un luogo, una radice, una nostalgia che si lascia e a cui si torna cambiati. Come se il cuore oscillasse tra ciò che ci trattiene e ciò che ci fa osare.
“Anche io nasco dal fondo di un lago – colmo di pianto”, dalla serie “Salva con nome” 2013

Alessandra Baldoni | “Anche io cresco dal fondo di un lago-colmo di pianto, dalla serie “Salva con nome” – stampa digitale su dibond, cm 70×50 – 2013.
Un omaggio ad una delle mie poetesse preferite, Antonia Pozzi, morta suicida a 26 anni. Le sue parole mi hanno nutrito, accompagnato, ferito e guarito. Ho camminato accanto a lei sulla neve, raccolto stelle alpine con il respiro sopra il crepaccio, amato l’ombra azzurra della montagna e pronunciato poesie come fossero preghiere. Parole incantesimo, bellissime e fragili come ghiaccio sopra l’acqua, parole che possono rompersi e portare via l’anima in un vortice liquido, un fondale di dolore.
“I Need Protection”, installazione- ferro vetro fotografia poesia, 2014

Alessandra Baldoni | “I need protection”, particolare dell’installazione, ferro vetro poesia fotografia – 2014.
L’anno scorso sono stata invitata alla “Biennale del vetro” di Sansepolcro. Mi sono trovata a lavorare con un materiale per me nuovo e a dover ripensare il mio abituale modo di procedere. Ho chiesto a 21 persone di donarmi il loro segreto-desiderio più profondo o paura impronunciabile, così che io potessi custodirle e proteggerle, togliendo loro il peso e la gravità. Ho raccontato ogni loro frase/verso con un’immagine nascosta all’interno di uno scrigno. E’nata così l’installazione “I need protection”, scrigni di ferro e vetro, archivio sentimentale. Il vetro è fragilità trasparente, amore e spina. Ha cura di cose preziose ma può nello tesso tempo rompersi e diventare lama. Il vetro taglia, lacera la pelle e ne fa ferita. Biancaneve avvelenata dorme un sonno che sembra morte in una bara di vetro. L’amore può vederla e svegliarla con il suo bacio. Il vetro mostra la bellezza, è diaframma che separa e misura. Teche di vetro proteggono le reliquie dei santi e raccontano il martirio. Noi da fuori osserviamo il miracolo. L’adorazione è fatta di visione. “I Need Protection” è un antidoto, un luogo che accoglie e si prende cura delle parole.
G.: L’opera d’arte che ti fa dire: “questa avrei davvero voluto realizzarla io!” ?
A.: Mi succede a volte ed è sempre bellissimo. Perché è come innamorarsi, riconoscere un’appartenenza. Mi capita con le opere di Maria Lai, di Sophie Calle, di Sabrina Mezzaqui, Marzia Migliora e in molte altre circostanze. Quando qualcosa mi commuove o mi ferisce, quando sento con lo stomaco e lo stupore mi fa tremare il cuore.
G.: Un o una artista che non ti ha mai emozionato:
A.: Diciamo che non amo l’arte fatta apposta per stupire, urlata e colorata come un luna park, l’arte che mi dice esattamente cosa provare e che non lascia spazio al mistero. Devo sentire la verità da un’opera d’arte, non mi interessa il gioco o il clamore fine a se stesso.
G.: Un o una artista che avresti voluto esser tu:
A.: Più che altro avrei voluto essere Houdini…
G.: In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?
A.: Ovunque posso perché da ogni luogo e direzione può venire la scintilla, l’idea. E’un attitudine, un modo di indossare la vita e di camminare nello spazio.
G.: Work in progress e progetti per il futuro:
A.: Prima di tutto portare a termine il lavoro “Orlando in ordine sparso”, dedicato all’“Orlando”di Virginia Woolf. Ho inoltre in mente di realizzare una serie di workshop dedicati al rapporto tra fotografia e narrazione. E poi un nuovo progetto fotografico/installativo in bianco e nero ed un lavoro dedicato a Vittoria Aganoor Pompilj (poetessa vissuta sulle sponde del mio lago) e una serie di mostre personali in giro per l’Italia.
G.: Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore
A.: “Preferisco il ridicolo di scrivere poesie, al ridicolo di non scriverne” (Wislawa Szymborska)
“Se ho scritto è per pensiero/ perché ero in pensiero per vita” (Antonella Anedda)
Per approfondire: